Mancini, un testimonial incompatibile con il brand Marche: tre ragioni professionali

Roberto Mancini ha (legittimamente) deciso di lasciare la panchina della Nazionale italiana per diventare il nuovo ct dell’Arabia Saudita. Una scelta controversa che ha suscitato molte polemiche e che a mio parere mette in crisi il suo ruolo di testimonial della Regione Marche.

Non si tratta di una questione politica, di destra o di sinistra, ma solo di una valutazione professionale basata su tre ragioni principali:

  • La prima ragione riguarda la coerenza tra i valori del testimonial e quelli del brand. Come può Mancini rappresentare le Marche, una regione che vanta tante eccellenze e unicità, mettendosi professionalmente al servizio di un Paese che viola i diritti umani, che reprime le libertà civili e religiose, che discrimina le donne e le minoranze? L’Arabia Saudita è infatti uno dei Paesi più repressivi al mondo, dove vengono applicate la pena di morte, la tortura, la censura e altre pratiche inaccettabili secondo gli standard internazionali. Questo crea una forte dissonanza tra l’immagine di Mancini e quella delle Marche, che si vogliono presentare come una regione aperta, accogliente, innovativa e sostenibile.
  • La seconda ragione riguarda l’uso dello sport come strumento di comunicazione e promozione territoriale. Come può Mancini promuovere le Marche, una regione che ha fatto dello sport uno strumento per far crescere l’immagine e l’attrattività del territorio, lavorando in un Paese che usa lo sport come una vetrina per nascondere le proprie contraddizioni e le proprie violenze? L’Arabia Saudita è infatti nota per la sua strategia di “sportswashing”, ovvero l’acquisto di eventi sportivi di alto livello per migliorare la propria reputazione internazionale e distogliere l’attenzione dalle proprie violazioni. Questo crea una forte contraddizione tra il messaggio di Mancini e quello delle Marche, che si vogliono presentare come una regione che valorizza lo sport come un mezzo per educare, integrare e sviluppare le persone.
  • La terza ragione riguarda la credibilità del testimonial come portavoce della propria terra. Come può Mancini essere credibile come testimonial delle Marche, una regione che ha scelto lui per l’attaccamento che ha sempre avuto per la sua terra e per le emozioni che ci ha regalato alla guida degli Azzurri, quando ha accettato un contratto milionario da un Paese che non condivide i nostri valori e la nostra cultura? L’Arabia Saudita è infatti un Paese molto diverso dall’Italia sotto molti aspetti, sia geografici che storici, culturali e religiosi. Questo crea una forte distanza tra il sentimento di Mancini e quello delle Marche, che si vogliono presentare come una regione orgogliosa della propria identità e delle proprie tradizioni.

Non c’è dubbio che Mancini sia uno dei marchigiani più conosciuti nel mondo e che abbia fatto la storia del calcio italiano. Ma questo non basta a giustificare una scelta professionale che danneggia la sua immagine personale e quella della Regione Marche. Per questo credo che se le nostre istituzioni regionali siano intenzionate a proseguire con la strategia del “personaggio famoso” – che non è l’unica strada a livello di comunicazione – sia opportuno sostituirlo con un altro testimonial in grado di trasmettere messaggi positivi e unificanti, non divisivi.

Un candidato ideale potrebbe essere Gianmarco Tamberi, il campione del salto in alto che ha appena vinto il titolo mondiale a Budapest. Tamberi è un esempio di talento, determinazione, passione e simpatia, tutti valori in linea con l’identità di brand delle Marche. Tamberi è un orgoglio per la nostra regione e per l’Italia intera. Tamberi è il volto giusto per rappresentare le Marche nel mondo.

 

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